Questo spazio è dedicato soprattutto agli educatori (capi e genitori). Siamo convinti che il primo compito di un educatore, che sia un professionista o no, è di continuare ad educare se stesso, perchè educare non è tanto una questione di fare, ma di essere, da cui il titolo della sezione.
Raccogliamo in queste pagine alcuni spunti qualificati sui due temi che stanno più a cuore agli scout: l'educazione - in generale - e l'ambiente (conoscenza, cura, conservazione, ...).
Ha lo scopo di permettere a ciascuno di riflettere, approfondire, rinfrancarsi e magari anche di confrontarsi con altri educatori.
Infatti in queste pagine è possibile inviare commenti ai diversi post.
(NB - I commenti vengono moderati dalla redazione) |
EDUCHIAMO (ci)
La collaborazione nell'educazione
Nei Gruppi scout ogni Comunità capi si ritaglia all'interno delle proprie riunioni un po' di tempo per interrogarsi e approfondire le modalità di educazione dei ragazzi e della collaborazione educativa con i genitori all'interno della proposta educativa che il metodo scout rappresenta. Vi rendiamo partecipi di uno dei vari spunti di riflessione, utilizzato durante questi momenti di condivisione tra noi capi, che ci è capitato rispolverando vecchie riviste dell'associazione. Vi auguriamo buona Lettura e ci piacerebbe anche poterne parlare insieme. (cliccando sull'immagine è possibile scaricare il pdf)
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"Un bravo lupo"
"Ho insistito io per mandare Mattia agli scout. Perché è imbranato come me, perché è tutto testa e niente fisico come me, perché è egocentrico come me. In sostanza, ci ho mandato lui (che ora è contentissimo) perché non ho più l’età per tornarci io. Domenica, per la prima volta, ha potuto mettere il maglione e il cappellino da lupetto, e mi sono commosso. Come mi ero commosso tre settimane fa, alla giornata di inizio anno con le famiglie. Degli scout mi commuovono la dolcezza abbinata al rigore, l’idea che il gioco sia una cosa seria, i valori trasmessi con gioia, il senso di comunità intergenerazionale, il non lasciare indietro nessuno, la metafora del cammino. È un’Italia che non fa mai notizia, perché non urla e forse perché il bene è sempre più banale del male, eppure che costruisce con cura dalle fondamenta. È bello e confortante ritrovarsi con famiglie che non hanno perso la fiducia, con un pezzo di società sana e propositiva, con adulti che – tra i tempi del lavoro e quelli della vita privata – si ritagliano con i denti uno spazio di servizio ai più piccoli. Forse gli scout sono la cosa più vicina al Paese in cui vorrei vivere." Da: http://www.andreasarubbi.it/?p=8744 ; sito di Andrea Sarubbi. |
CREDO SCOUT
CREDO nell'uomo dai grossi scarponi, che con passo libero annuncia pace, incurante dei venti stagionali e del maltempo, docile solo allo spirito, si muove sugli stretti sentieri di DIO che portano ad orizzonti impensati e al cuore della povera gente. NON CREDO all'uomo in pantofole che si consuma nella sua angusta stanza. CREDO nell'uomo dai calzoncini corti, dalle ginocchia nude, sempre pronto, senza calcolo a piegarsi in pura perdita per adorare l'unico Signore e Padre. NON CREDO all'uomo dei calzoni con la piega adoratore e servitore di se stesso. CREDO nell'uomo dalle maniche rimboccate, presente ove si crea la vita e si costruisce la libertà, che si sporca le mani in opere di giustizia, caparbio nello sperare contro ogni speranza. NON CREDO nell'uomo dai gemelli d'oro che fa proclami e vende parole. CREDO nell'uomo dallo strano cappellone, ridicolo per chi ha paura di perdere la faccia, ma utile per mille usi, adatto a chi vuol vivere da uomo di frontiera, seminando germi di vita nuova anche nel deserto delle nostre città. NON CREDO nell'uomo manichino esposto nelle vie del corso. CREDO nell'uomo che suda sotto il carico dello zaino, svuotato delle proprie meschine cose e riempito degli angoscianti problemi dell'umanità, buon samaritano che riaccende la gioia di vivere. NON CREDO nell'uomo che conosce i mali che corrodono il mondo solo dal giornale. CREDO nell'uomo dei boschi, libero e attento a cogliere i segni rivelatori del Mistero nascosto in ogni creatura, per vivere al ritmo della fraternità universale, profeta sicuro di un domani più umano. NON CREDO nell'uomo seduto al bar che ripete i discorsi di tutti.
In
questo uomo io CREDO, Signore aiuta la mia fede. |
Mostra open air "Certi sguardi" in via Dante
... se passate in Centro... Dal 5 al 20 dicembre via Dante, a Milano, è il palcoscenico della mostra fotografica 'Certi sguardi': 40 scatti d'autore per celebrare i vent'anni dall'approvazione della legge quadro sul volontariato. La mostra, voluta e realizzata dal settimanale Vita, presenta una selezione di immagini che nasce dalle partnership con Shoot4Change e PhotoAid, due reti di fotografi che, come volontari, dedicano parte del loro tempo alla realizzazione di reportage su temi umanitari per organizzazioni non governative e altri organismi di indirizzo sociale. Attraverso l'obiettivo di affermati fotografi italiani e internazionali - tra cui Antonio Amendola, Michele Cazzani e Alfons Rodriguez - l'esposizione permetterà al pubblico di soffermarsi sul valore dell'impegno volontario nelle realtà più disparate: dagli ospedali ai centri d 'accoglienza, dalle zone più povere e remote del pianeta alle periferie delle nostre città tratto da Vita Il volontariato invade Milano Nella centralissima via Dante è esposta “Certi Sguardi”, 36 scatti su il bello della gratuità open air. È intitolata “Certi Sguardi”. Ma, vista la reazione dei passanti fin dalle prime ore, si sarebbe dovuta chiamare “Sguardi incollati”. O “sorpresi”, e in molti casi, anche “commossi”. Un successo meritato quello che ha accompagnato l’inaugurazione, il primo dicembre a Milano, nella centralissima via Dante, della mostra open-air organizzata da Vita che racconta, attraverso una sequenza di suggestivi “atti di gratuità”, 36 esperienze di volontariato, racchiuse in 36 scatti d’autore. Ogni fotografia contiene una storia che traspare dai particolari, dai contesti, dagli sguardi, appunto. Ma, soprattutto, ogni fotografia è anche essa stessa una storia, che andrebbe raccontata. Per esempio? Per esempio lo scatto del giovane fotografo campano Antonio Gibotta, che mostra in tutta la forza dell’attimo, l’attività di aiuto ai poveri portata avanti nelle strutture del territorio dalla Caritas di Nola: «È l’abbraccio tra preghiera e servizio ai poveri», prova a spiegare Raffaele Cerciello, vicedirettore della Caritas diocesana di Nola. I volontari sono colti qualche attimo prima della distribuzione del pasto. È l’immagine di un gruppo di persone che prega per i poveri, prega per i benefattori, prega per la pace nel mondo prima del servizio a tavola. E lo si fa in modo comunitario proprio per evidenziare la scelta di sentirsi una famiglia nel momento in cui si fa un atto che potrebbe sembrare di semplice assistenza sociale». La fotografia è entrata nella selezione di “Certi Sguardi” dopo essere stata esposta a Nola, dove documentava l’iniziativa “Agosto col grembiule”, «un invito rivolto ai giovani per fare volontariato e non chiudere le nostre strutture d’estate», spiega Cerciello. |
Friburgo: parole per meditare
Bimbi moderni ... sempre più deboli
L'acqua del Vangelo e la dittatura dell'apparenza
di Bruno Forte* (tratto da Il sole 24 ore - http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-04-24/lacqua-vangelo-dittatura-apparenza-151440.shtml?uuid=AarM0fRD - 24 aprile 2011) Per riflettere insieme in questo giorno di Pasqua parto da alcune frasi del romanzo «Il nomade» (Feeria 2010) di Giuliano Agresti, l'Arcivescovo di Lucca che è scomparso nel 1990 lasciando in quanti lo conobbero il ricordo di una fede e di una carità vissute fino alla misura della santità. Il protagonista del racconto è un uomo che nella maturità dell'esistenza decide di vivere da nomade, muovendosi su una povera bicicletta e facendo il mestiere di arrotino, forte solo della sua fede in Dio e del suo bisogno di libertà. L'essersi fatto nomade non gli impedisce di seguire le vicende del suo tempo - l'Italia degli anni di piombo - e di portarne le stigmate nel cuore. «Gli doleva - afferma il racconto, chiaramente autobiografico - soprattutto una società presaga di ulteriori sfasci, involuzioni, tempi neri e che non trovava la forza morale di essere diversa. In questo più ancora lo provava lo spengimento mediocre dei credenti, dediti al piccolo cabotaggio, mentre negavano la profezia. Si sentiva addosso la suggestione dell'impotenza. Lo avrebbe reso cinico se non avesse avuto il suo "Dio familiare"». La testimonianza biblica è concorde sul fatto che la profezia non s'inventa, non è frutto di carne o di sangue, né tanto meno è un atteggiamento legato al prurito di novità o al desiderio di farsi strada. Si è profeti per dono dall'alto, per vocazione e missione, e si vive la profezia in umile obbedienza all'Eterno, quasi costretti, nella condizione di chi non può sottrarsi a un obbligo che lo sovrasta e che gli chiede tutto. Lo esprime bene una storiella, frutto di fantasia, eppure carica di verità. Un umile fedele, ricco di carità e amico del vero, muore e si presenta al cospetto di Dio. L'Eterno lo accoglie alla Sua presenza e dopo averlo a lungo scrutato dall'alto del suo trono, gli dice: «Sai che sei stato un profeta?». Lui risponde: «Signore, non me n'ero mai accorto!». Lo spirito profetico è dono ricevuto, e si vive nella docilità di un cuore umile e di una vita donata. Che cos'è dunque la profezia? Spesso si pensa che essa sia un guardare in avanti, anticipando gli eventi. In realtà, nella Bibbia profezia vuol dire guardare la storia dalla fine, vederla cioè nella luce di Dio e misurarla sulle esigenze della Sua verità e del Suo amore infinito. Come ci fa capire l'Apocalisse - vera teologia della speranza sotto forma di teologia della storia - sguardo profetico è quello che riferisce tutto al sovrano e ultimo giudizio dell'Eterno. Per la fede cristiana rivelatore di questo giudizio d'assoluto amore è il Cristo: è in lui che apparirà la verità su ogni cuore, «e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto». Lui solo è l'Amen, «l'Alfa e l'Omega, Colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente!». "Amen" richiama in ebraico la parola emet, che vuol dire sia verità che fedeltà, perché nella mentalità biblica la verità è un rapporto di alleanza, una fedeltà che non va mai tradita. La parola emet è composta da tre consonanti, "alef", "mem" e "tau", che sono rispettivamente la prima lettera dell'alfabeto ebraico, quella centrale e l'ultima: l'inizio, il centro e il compimento del mondo, che nelle parole viene rappresentato. Si capisce allora come Gesù, «Alfa e Omega, Colui che è, che era e che viene», sia per chi crede la verità - fedeltà di Dio, nella cui luce tutto va vagliato nel suo autentico valore. Come Lui il profeta è testimone della verità, pronto a dirla anche quando fosse rischioso o risultasse perdente secondo la logica mondana. Come Gesù è profeta chi annuncia la buona novella ai poveri qui e ora e proclama la liberazione ai prigionieri e la vista ai ciechi, contagiando la libertà agli oppressi e la grazia ai peccatori oggi. Nega, invece, la profezia chi guarda ai poveri - per esempio agli immigrati che fuggono dalla disperazione e bussano alle nostre porte - solo come a un problema o a un fastidio da evitare; chi considera i prigionieri delle schiavitù del nostro tempo - drogati, alcolisti, dipendenti dalle alienazioni prodotte dal mondo virtuale della rete - solo come colpevoli che si sono cercati la loro punizione, senza muovere un dito per aiutarli; chi giudica la cecità e lo smarrimento di tanti come la conseguenza inevitabile di loro scelte sbagliate, e non si adopera a testimoniare con amore la luce; chi, insomma, agli oppressi non s'impegna a dire una parola di speranza e a donare una possibilità di liberazione. Parimenti, nega la profezia chi non chiama per nome il male, chi chiude gli occhi di fronte allo scandalo dato specialmente dai potenti moralmente corrotti e non ne denuncia l'intollerabilità in nome di un calcolo politico, di un volgare interesse. Lo «spengimento mediocre dei credenti, dediti al piccolo cabotaggio, mentre negano la profezia» può riguardare, insomma, tutti, specialmente quanti dovrebbero proporsi come guide affidabili del popolo, lampade poste a illuminare la via. Il rischio è che non scorra più limpida l'acqua del Vangelo, e che possa un giorno venir imputato a quanti non danno voce alla verità di essere stati conniventi con un potere malato, con la dittatura dell'apparenza. L'augurio che faccio a me e a tutti noi, credenti e non credenti appassionati al bene comune, è pertanto quello di un'autentica libertà di cuore, di una lungimiranza evangelica, di una capacità di pensare in grande, per sognare il sogno di Dio ed essere pronti a pagare il prezzo più alto perché esso prenda corpo nella vita degli uomini. Lo formulo con le parole di un cristiano d'altri tempi, che seppe credere nella forza della profezia di Gesù e la visse fino in fondo, pagando con la vita il coraggio della sua testimonianza: Tommaso Moro. Lord Cancelliere del Re d'Inghilterra, andò incontro al martirio pur di non rinnegare la propria coscienza piegandosi ai soprusi del sovrano o facendosi connivente con la sua vita corrotta. Prigioniero nella Torre di Londra in attesa dell'esecuzione, scrisse tra l'altro queste parole: «Dammi la Tua grazia, Signore buono, per stimare un nulla il mondo, per aggrapparmi a Te con la mente e non dipendere dalla bocca degli uomini, per camminare nella via stretta che conduce alla vita e ritenere un niente la perdita della ricchezza del mondo, degli amici, della libertà, della vita, onde possedere Te». * Arcivescovo di Chieti-Vasto |
...agiscono con ingiustizia, ma non vogliono che la giustizia giudichi le loro azioni?
Domenica delle Palme - Omelia - Arcivescovo Dionigi Tettamanzi Milano - Duomo, 17 aprile 2011 IN GESU’ CHE SI DONA PER AMORE LA POTENZA DI DIO PER NOI Carissimi fedeli, e soprattutto carissimi voi, ragazzi dell’Unitalsi. Abbiamo rivissuto con gioia l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, sei giorni prima della sua crocifissione, e anche noi, come la folla che quel giorno l’ha accompagnato sulla strada tra Betfage e il tempio della Città santa, abbiamo agitato i rami dei nostri ulivi e delle nostre palme, in segno di acclamazione e di gioia. …hai tratto per te una lode Narrando lo stesso fatto, che abbiamo ascoltato nella versione del vangelo secondo Giovanni, l’evangelista Matteo ricorda un particolare importante. Una volta che Gesù fu entrato nella spianata del tempio, i capi dei sacerdoti e gli scribi s’indignarono per i gesti di guarigione compiuti da Gesù verso i tanti malati presenti, forse invidiosi per la felicità che il Signore aveva ridonato a quanti erano emarginati per i loro handicap e per la gioia dei bambini che gridavano felici: “Osanna!”. Quei sacerdoti dissero a Gesù: “Non senti quello che dicono costoro?”. E Gesù rispose loro: “Sì! Non avete mai letto: Dalla bocca di bambini e di lattanti hai tratto per te una lode?”. Sì, carissimi ragazzi: vi devo dire che questo interrogativo posto da Gesù a quei sacerdoti mi fa riflettere non poco, soprattutto là dove egli afferma che il Signore sa trarre la sua lode non dai grandi, dai potenti, ma dalla bocca dei piccoli. Mi viene allora da pensare: se anche tutti facessero tacere me, vescovo; se anche mi invitassero a non parlare da vescovo, ossia “evangelicamente”, presentando la novità sorprendente, la bellezza straordinaria e l’estrema serietà delle proposte del Vangelo, io dico a voi: “grazie”. Sì, “grazie”, perché la vostra stessa presenza continuerebbe a parlare al posto mio e a portare a tutti gli uomini e le donne del nostro tempo una notizia di speranza e di gioia: solo il Signore Gesù è “il Benedetto nel nome di Dio”, solo Lui può essere la salvezza vera che viene dall’alto dei cieli e di cui tutti gli uomini – di ogni tempo e luogo - hanno assoluto bisogno! Annuncerà la pace… Il profeta Zaccaria, parlando per il suo tempo e per le attese dei suoi giorni, già aveva intuito quale sarebbe stato lo stile e il modo di presentarsi del Messia di Dio. Non con i cavalli da guerra, non con la forza delle armi, ma con la mansuetudine dell’asino, la bestia da soma dei giorni di pace, e con il dominio invincibile della giustizia: “Egli è giusto e vittorioso, umile… Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni”. Ma qual è la nostra situazione storica, come sono oggi i giorni che viviamo? Potremmo definirli “giorni strani”. I più dotti potrebbero dirli “giorni paradossali”. Perché? Le motivazioni sono moltissime e differenti. Ad esempio, per stare all’attualità: perchè ci sono uomini che fanno la guerra, ma non vogliono si definiscano come “guerra” le loro decisioni, le scelte e le azioni violente? Perché molti agiscono con ingiustizia, ma non vogliono che la giustizia giudichi le loro azioni? E ancora: perché tanti vivono arricchendosi sulle spalle dei paesi poveri, ma poi si rifiutano di accogliere coloro che fuggono dalla miseria e vengono da noi chiedendo di condividere un benessere costruito proprio sulla loro povertà? Come sono, quindi, i giorni che oggi viviamo? Possiamo rispondere nel modo più semplice, ma non per questo meno provocatorio per ciascuno di noi, interrogandoci con coraggio sul criterio che ispira nel vissuto quotidiano i nostri pensieri, i sentimenti, i gesti. E’ un criterio caratterizzato da dominio superbo, subdolo, violento, oppure è un criterio contraddistinto da attenzione, disponibilità e servizio agli altri e al loro bene? Il brano del Vangelo d’oggi ci presenta Gesù come re umile e mite, e insieme come il re che dona tutto se stesso per amore e che, proprio così, annuncia la pace. Questo e non altro è il suo “dominio”, che “sarà da mare a mare e dal fiume fino ai confini della terra”. Siamo allora chiamati a interrogarci sull’unica vera potenza che può realmente arricchire e fare grande la nostra vita, intessuta da tanti piccoli gesti: la vera potenza sta nell’umiltà, nel dono di sé, nello spirito di servizio, nella disponibilità piena a venerare la dignità di ogni nostro fratello e sorella in ogni età e condizione di vita… Su questa vera grandezza ci siamo soffermati in occasione delle Via Crucis celebrate nelle sette Zone pastorali portando la croce di san Carlo. In ogni “stazione” la risposta è sempre stata la stessa: la vera grandezza sta nel dono umile e generoso di sé. Così, pensando alla corona regale di Gesù, la riflessione ci ha portato a dire: “E noi, pur sotto un tale Capo, coronato di spine e insanguinato, cerchiamo di dominare gli uni sugli altri. Nella società, nella politica, nelle famiglie e anche nella Chiesa consideriamo stoltezza mettere gli altri al di sopra di noi e crediamo piuttosto nella forza del denaro, del potere, del successo a ogni costo. Alzare la voce, cercare giusta vendetta, mostrare la nostra forza sono diventati i nostri criteri per regnare. Ma tu solo, Signore Gesù, hai il potere, la gloria e l’onore, perché regni dal trono della tua compassione per noi”. E con la riflessione, la preghiera conclusiva: “Per il mistero di questa tua regalità insanguinata e mite, guarisce la nostra superbia”. L’onnipotenza dell’amore di Dio in Cristo crocifisso Come discepoli di Gesù non dobbiamo aver paura nel seguire le orme di colui che è immagine del Dio invisibile, il primogenito di tutta la creazione e di tutti i risorti, il pacificatore di tutte le realtà con il sangue della sua croce (cfr Col 1,15-20). Non dobbiamo fuggire dalla realtà e sognare che la via del discepolo non conosca la prova o la tentazione: noi possiamo e vogliamo solo fidarci di Dio e affidarci al suo amore. La celebrazione dei riti di questa “settimana autentica”, che oggi ha inizio, ci doni la sorpresa di accorgerci in un modo nuovo e commovente dell’immensità dell’amore di Dio per noi: il suo è l’amore del Figlio che si dona fino alla morte di croce. E da discepoli ci chiediamo: Dov’è la potenza di Dio? Ecco, carissimi ragazzi, e con voi tutti coloro che si riconoscono come i piccoli prediletti da Gesù: la Sua potenza siete voi, infinitamente amati da Dio! La Sua voce è la vostra voce quando acclamate Cristo come colui che viene nel nome del Signore, quando gridate a lui per poter ritrovare la forza e la gioia del vivere. Il Suo coraggio è il vostro coraggio quando continuate a sperare in Gesù, ogni giorno e nonostante la fatica, la prova guardate a lui come al centro del progetto di Dio. La Sua speranza è la vostra speranza quando interpretate la Sua croce e la Sua risurrezione come la sorgente sempre aperta della salvezza, come il momento permanente in cui Dio riconcilia tutte le cose e fa pace con ogni creatura e fra tutti i popoli, per mezzo del sangue di Gesù crocifisso. Ecco, carissimi, è così che il nostro Dio viene a salvarci! + Dionigi card. Tettamanzi Arcivescovo di Milano WebRep Overall rating |
La sobrietà è contro il PIL? (pensiero per la quaresima)
articolo pubblicato il 22 febbraio sul sito http://www.lafedelta.it/index.php?a=articoli&b=sp_articoli&id_articolo=3414&id_argomento=42&id_localita=3 e poi sullla rivista del SERMIG di Torino di CORRADO AVAGNINA La Quaresima non è ancora alle viste, ma è praticamente dietro l’angolo. Però la parola che la dovrebbe connotare in modo speciale è in circolazione da un pezzo, soprattutto in questi tempi che le remano contro per tanti versi. Si tratta della sobrietà. Oggi è atteggiamento invocato, ma anche esorcizzato, persino sbeffeggiato. Sul piano degli stili di vita, la sobrietà dovrebbe mettere le ali ad un’esistenza che non si lascia zavorrare dalle cose, dagli istinti, dalle bassezze. Certo, si entra così, con la sobrietà, su un territorio etico, in cui interrogarsi sul “ben-essere”, cioè sulla possibilità di dare dignità piena alla vita propria e degli altri, senza finire asserviti alla sete di potere, di denaro, di successo, di visibilità, di capricci. Ma affascina e conquista questa sobrietà, mentre troppi sono gli input che incentivano gli eccessi? Difficile ragionare in controtendenza, chiedendo innanzitutto a se stessi una essenzialità trasparente, a fronte di una società sovraccarica di consumi, di superfluo, di banalità, di sprechi… Quando noi si era giovani, una spinta intrigante in questa direzione aveva il sapore contestativo di rompere con gli schemi, di dare una svolta ideale, di praticare un certa profezia o utopia, sperando in un mondo più giusto, più equo, più vivibile. Ora ci si ritrova invece in mezzo ad un mare di situazioni che sembrano imporre un accumulo di cose, di comodità, di opportunità… per cui avere è verbo che surclassa l’essere, a tutto spiano. La sobrietà dovrebbe arginare tutto questo, facendo riscrivere l’alfabeto dei gesti, delle scelte, delle vicende… nella quotidianità. Sobrietà è anche una opzione che evita pasticci nel tran tran dei giorni, per essere se stessi e basta, per avere una sola faccia, una sola vita, un solo percorso…. Tutto alla luce del sole, senza raddoppiare i propri mondi esistenziali con apparenze o maschere che alla lunga non funzionano, che stressano e deludono. Essere sobri è essere veri, nelle parole, nei sentimenti, nelle relazioni… essere sobri è anche avere idee chiare su come gira il mondo, su come qualcosa si può cambiare, su come metterci la faccia perché non tutto finisca alla deriva. Essere sobri è pure essere in grado di distinguere, guardandosi attorno, tutto ciò che sa di squallore nonostante sia rivestito di visibilità. E, sul piano più sociale, la sobrietà si coniuga con tutto ciò che rende un servizio prezioso alle persone, perseguendolo senza eccessivi costi accessori. Cioè la persona che ha bisogno e che ha diritto ad una risposta alle sue esigenze deve finire al primo posto, non arrivare all’ultima stazione, con troppo che si è perso o sfuocato, strada facendo. Così alla politica come alla burocrazia si può e si deve chiedere una sobrietà che privilegi l’obiettivo per cui si opera nel pubblico: raggiungere al meglio le persone a cui si deve provvedere. Ovvio che a questo punto la sobrietà non può che svestire il potere che conosciamo di tutte le sue esagerazioni. Perché il potere non è per se stesso, ma per… servire la causa delle comunità a cui è destinato. Già, una verità semplice, sacrosanta, antica… che oggi è soprattutto dimenticata. Certo, qualcuno avverte che sul piano economico la sobrietà (magari nella sua variante di “austerità”) rischia di affossare i consumi che sono il motore di un sistema in cui produrre, quindi creare lavoro, quindi rigenerare risorse… per crescere e non smarrirsi o sprofondare. La sobrietà è contro la crescita del Pil? Semplicisticamente potrà anche risultare così. Ma se nel Pil ci mettiamo non solo i conti di mercato, ma anche la qualità di vita, la dignità delle persone, il senso dello stare insieme, il plusvalore delle relazioni… allora la sobrietà aiuta, non penalizza. E magari può, la stessa sobrietà modificare i ritmi e le logiche di un mercato che altrimenti si indurisce e si cannibalizza sempre di più. Insomma… sobrio è meglio. |
I dieci comandamenti dell’adolescente
Tratto dal blog di don Antonio mazzi "io la penso così" - titolo originale: "Gli amici di Yara" - www.exodus.it Avevo tanta voglia di incontrare i compagni e le compagne di Yara, a Brembate di Sopra. Quando sento e vedo ragazzi soffrire, vorrei essere sempre vicino a loro. L’8 marzo, su invito di don Corinno, in una chiesa stracolma di gente, il mio desiderio si è avverato. È stata una serata struggente. Nel silenzio, quasi contemplativo, ho parlato due ore, con la commozione che, di tanto in tanto, mi scappava dall’anima. È bello essere prete, in queste circostanze. Pigiati attorno a me, seduti per terra, c’erano loro, gli amici di Yara. Proprio pensando a loro e a tutti i nostri figli, ho improvvisato un decalogo. L’ho chiamato i dieci comandamenti dell’adolescente. Ve li ripropongo.
Finito, mi sono corsi incontro. Li ho benedetti, abbracciati, accarezzati, coccolati come si coccolano i nipoti! I catechisti e i genitori mi hanno chiesto i comandamenti. Spero che una tragedia così inspiegabile, produca benefici miracolosi. Yara e i suoi genitori se li meriterebbero! |